Bisogna andare molto indietro nel tempo, per risalire alle origini dell’occhio di vetro, e della sua affascinante storia. E lo faremo insieme, proprio come quando abbiamo parlato di quando sono stati inventati gli occhiali.
È al 3000 a.C. circa, infatti, che risalgono i primi reperti di protesi oculare, nell’area di Shahr-I Sokhta, nell’odierno Iran. Ciò che è stato trovato si stima che possa essere datato attorno al 2900-2800 a.C., ed era probabilmente realizzato con una pasta bituminosa coperta da un sottile strato d’oro, inciso con un’iride centrale dalla quale si irradiavano linee simili ai raggi del sole.
I piccoli fori praticati vicino ai bordi e le prove di usura intorno ai fori dimostrano che probabilmente l’oggetto sia stato tenuto in posizione da un filo d’oro e indossato come fosse benda sull’occhio. Ma la storia antica dell’occhio di vetro non finisce qui, visto che il riferimento a una protesi d’oro lo si trova anche in un testo ebraico.
Attorno al primo secolo a.C anche sacerdoti egizi e romani realizzavano quelli che potremmo definire occhi protesici (da indossare all’esterno della cavità) realizzati in argilla dipinta e attaccata a una striscia di stoffa o di cuoio. Pensati per i vivi, ovviamente, anche se per gli egiziani era tradizione, già nel IX secolo a.C., rimuovere gli occhi dei morti, versando la cera nelle orbite vuote e inserendo inserti oculari in vetro e onice. Un rituale simbolico, che doveva aiutare a “vedere” nel momento in cui si sarebbe entrati nell’aldilà.
La storia, poi, fa un lungo balzo in avanti, perché si torna a parlare di occhi di vetro solo nel 1500, quando il francese Ambroise Paré descrisse un occhio protesico che era fissato all’estremità di un’asta di metallo che si piegava attorno alla parte posteriore della testa, con lo scopo di tenerlo in posizione. Realizzati in oro o argento, con rivestimenti in smalto colorato, questi occhi incassati probabilmente esistevano già da tempo. Complici i vetrai veneziani, che stavano cominciando a realizzare occhi protesici più realistici, appunto in vetro. Del tutto simili a dei gusci solidi (e non vuoti come le protesi oculari successive) erano purtroppo, però, molto sottili, fragili e scomodi da indossare.
Alla fine del 1700 il centro di produzione per gli occhi artificiali era Parigi, dove le protesi erano per lo più fatte di smalto (una miscela di silicio e potassa con una percentuale di piombo e stagno), piuttosto che il normale vetro, anche se nel corso del XIX secolo ci si rese conto che era quest’ultimo il materiale migliore per realizzarli.
Lo confermarono anche altri professionisti fino a che, verso la metà del diciannovesimo secolo, il centro per la fabbricazione delle protesi oculari si trasferì in Germania e si iniziarono a sviluppare occhi di vetro e protesi oculari utilizzando la criolite, un materiale decisamente più resistente.
L’introduzione di un nuovo, innovativo, materiale avvenne poi nel 1930: il (poli) metilmetacrilato (PMMA), fu introdotto da Imperial Chemical Industries e commercializzato con vari nomi commerciali come Plexiglas, Lucite e Perspex. Il PMMA, un materiale termoplastico, è un polimero sintetico trasparente di metilmetacrilato che viene ben tollerato dai tessuti corporei. Per questo motivo, negli Stati Uniti, la American Optical Company iniziò a produrre in serie protesi oculari realizzate in questo materiale, per i numerosi veterani statunitensi che avevano perso l’occhio durante la guerra. Mettendo in luce come il PMMA fosse un materiale più resistente del vetro e dotato di proprietà che permettono di personalizzare le protesi oculari utilizzando la tecnica dell’impronta dell’orbita oculare del paziente.
Nella seconda metà del ventesimo secolo, quindi, le protesi oculari in PMMA hanno soppiantato l’industria dell’occhio di vetro vecchia di 350 anni, nonostante un piccolo numero di produttori di occhi di vetro sia ancora presente nel Vecchio Continente.